Emergenza casa. Troppo “popolare” risolverla

Emergenza casa. Troppo “popolare” risolverla

Il problema della casa a Milano, come in tutta Italia, negli ultimi anni è diventato un’emergenza per un numero sempre più ampio di persone che si trova a dover affrontare difficoltà socio-economiche.

Senza risorse è sempre più difficile trovare una collocazione abitativa

Il bisogno riguarda individui o nuclei familiari sottoposti a sfratto esecutivo, ex-detenuti, persone senza fissa dimora italiani e stranieri, anche rifugiati politici, che hanno sempre maggiori difficoltà a trovare una collocazione abitativa idonea senza disporre di risorse.

Lo scorso 25 maggio  il ministero dell’Interno ha pubblicato il rapporto annuale sugli sfratti, che si riferisce al 2015. I dati dimostrano che l’emergenza casa è diffusa in tutto il paese e interessa i piccoli e grandi centri dal Nord al Sud, senza differenze. Proprio i piccoli e medi centri negli ultimi tre anni hanno conosciuto un’emergenza mai vista prima. Nelle prime tredici posizioni della classifica stilata dal Viminale, infatti, si trovano piccoli e medi comuni da Barletta-Andria-Trani (uno sfratto ogni 148 famiglie) a Pistoia (uno sfratto ogni 268). La prima grande città, al 14° posto, è Roma (uno su 272). Dal rapporto  in definitiva emerge che il problema sociale che continuiamo a chiamare  “emergenza abitativa” non ha più nulla di emergenziale, essendo ormai diventato fisiologico.  Nello storico che traccia il rapporto, infatti, si rileva che se nel 2005 gli sfratti colpivano una famiglia su 515, ora riguardano una famiglia su 399. Questo dato è ancora più grave se si considera che si riferisce alla cifra lorda di inquilini (famiglie proprietarie, usufruttuarie o assegnatarie di alloggi pubblici).

Il rapporto del ministero conferma le carenze delle politiche pubbliche

Il segretario nazionale dell’Unione Inquilini, Massimo Pasquini.

Il segretario nazionale dell’Unione Inquilini, Massimo Pasquini, ha avvertito che queste cifre sarebbero molto più elevate se si considerassero solo le famiglie in locazione da privati. Allo stato attuale la regione che presenta il maggior numero di sentenze di sfratto è la Lombardia con 12.308 provvedimenti, il 19% del totale nazionale. Seguono il Lazio con 8.745 sentenze e la Toscana con 5375. La regione con il maggior numero di sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale Giudiziario è ancora la Lombardia con 5.743 sfratti eseguiti (il 17,6% del totale nazionale), seguita dal Lazio (3.852, pari all’11,8%), dalla Toscana (3.307, pari al 10,2%), dall’Emilia Romagna (3.191, pari al 9,8%), dal Veneto con 2.811 (8,6%), dalla Campania con 2.515 (7,7%) e dal Piemonte con 2.049 (6,3%). Il rapporto non fa che confermare le carenze delle politiche pubbliche e del welfare. Sempre più inquilini, infatti, si trovano nell’impossibilità di pagare l’affitto perché uno o più componenti del nucleo familiare ha perso il lavoro e non riesce a riconquistare un livello di reddito sufficiente.

Il 90% degli sfratti del 2015 riguarda la “morosità incolpevole”

I dati evidenziano proprio che il 90% degli sfratti avvenuti nel 2015 riguarda la “morosità incolpevole”. A 300 mila famiglie (10 mila a Roma), dunque, non solo viene negato un contributo modesto, ma viene anche detto che non ci saranno case a canone sostenibile. Questa famiglie saranno costrette ad arrangiarsi. Il fondo per il contributo all’affitto, pensato per contrastare queste situazioni di difficoltà, è infatti stato azzerato dalla legge di Stabilità del 2016,  realizzata dal governo Renzi. Tenendo conto di ciò è evidente che il prossimo rapporto, quello del 2016, vedrà un aggravarsi dell’emergenza abitativa, costringendo sempre più famiglie a ricorrere alla rete di sostegno familiare o alla solidarietà. Il restante 10%, invece,  è costituito da tutte quelle famiglie che non pagano l’affitto per necessità, situazione che dallo Stato viene considerata come “morosità colpevole” e nega, oltre ad un tetto, anche i diritti necessari che dovrebbe essere garantiti ad ognuno e cioè il diritto alla  sanità, all’istruzione, alla cultura, alla socialità.

Il 2015 a Roma è stato drammatico: sono state 3030 le sentenze di sfratto. È il dato più alto degli ultimi dieci anni. Con la mancanza di politiche abitative razionali e organiche e l’aumento del ricorso agli ufficiali giudiziari e alla forza pubblica, la casa diventa un problema individuale e  non più una questione sociale. Tutti gli strumenti, inadeguati e inefficienti, adottati dai governi soprattutto dall’inizio della crisi in poi si sono rivelati un fallimento e al 30 giugno 2015 le risorse assegnate agli enti locali erano 93,7 milioni sui 132 previsti dal “piano casa Lupi”. Di questi solo 88 milioni sono stati trasferiti. Sui 25 milioni riservati alle famiglie disagiate, poi,  solo 3,5 sono arrivati alle regioni e ai comuni.

Le istituzioni non hanno i mezzi per far fronte all’emergenza

Nessuna istituzione dunque ha i mezzi per far fronte all’emergenza. Solo a Milano città ci sono stati quasi 14mila sfratti con 200 famiglie buttate fuori di casa dalla forza pubblica che si adattano a situazioni di estrema precarietà o dormono in strada.
E ogni anno si allarga il numero di partecipanti al bando dell’edilizia residenziale pubblica che assegna le case dell’Aler (la partecipata della Regione Lombardia che gestisce le case popolari) o del Comune, che insieme hanno un patrimonio di oltre 91mila alloggi. Nell’ultima edizione, quella chiusa a dicembre 2013, sono risultate valide 23.380 domande, di cui 9.437 presentate da cittadini italiani e il resto da immigrati. Una domanda su tre è arrivata da persone sole, una su due da famiglie con almeno un anziano, un bambino o un invalido. Ogni anno la situazione peggiora e diminuiscono le risorse da investire per aumentare l’offerta di case.

Il segretario generale Sicet-Cisl Milano, Leo Spinelli.

Il segretario del Sicet-Cisl, Leo Spinelli,  ha detto  che “mai da 25 anni la crisi è stata così grave sotto il profilo dell’assenza di risposta pubblica”. In effetti solo una piccola parte delle 23mila famiglie iscritte nella graduatoria otterrà la casa popolare. E questo perché con le poche case libere, prima di tutto, Aler e Comune devono gestire l’urgenza degli sfrattati senza alternative. Spinelli ha aggiunto:  “Gli investimenti comunali promessi per realizzare un piano serio di edilizia pubblica a canone sociale sono bloccati.

Tra Aler e Comune quasi 10mila alloggi vuoti

In più, c’è anche lo scandalo dei quasi 10mila alloggi sfitti, vuoti e chiusi tra Aler e Comune, appartamenti che non vengono affittati per i motivi più diversi, perché sono da ristrutturare o perché sono ristrutturati ma non consegnati materialmente all’ente pubblico che non ha finito di pagare i fornitori. Altri alloggi pubblici che potrebbero servire a tamponare la vastissima richiesta di casa a canone sociale, poi, vengono distolti dall’offerta perché riservati a “categorie” particolari, forze dell’ordine o volontari”.  Gli sfrattati poveri in teoria avrebbero diritto all’assegnazione di una casa pubblica fuori dalla graduatoria. Ma se nel 2013 le famiglie che hanno ricevuto un tetto sono state 1.177, nel 2014 le abitazioni assegnate sono state appena 143. Nel frattempo, in mancanza di alternative, molti dormono in macchina o in strada.

Il segretario generale del Sunia Milano, Stefano Chiappelli, ha sostenuto: “Si continua a incentivare la chimera della casa in proprietà, si allarga la fascia dell’esclusione, dell’emarginazione e del bisogno, a cui non dà risposte l’edilizia pubblica priva da anni di risorse continuative”. In un Paese dove l’emergenza casa è una realtà, poi, si inserisce il decreto banche, approvato il 3 maggio del 2016, che dovrebbe essere pronto per l’estate e potrebbe innescare una pioggia di sfratti veloci e poco tutelati. Il decreto riguarda chi abita in una casa acquistata con un mutuo, di cui ha smesso però di pagare la rata. In base alla legge gli ufficiali giudiziari non si occuperanno più di questi casi, che verranno trattati direttamente dai custodi giudiziari. Con il nuovo decreto, che passa praticamente un colpo di spugna sull’articolo 605 e seguenti del codice di procedura civile,  il pignoramento diventerà “immediato” e il custode potrà chiamare subito le forze dell’ordine per sgomberare.

L’interesse dei custodi è vendere il prima possibile

Giuseppe Marotta.

Giuseppe Marotta, ufficiale giudiziario a Milano, esegue sfratti da vent’anni, un lavoro molto duro dal punto di vista psicologico, ed è membro dell’Associazione ufficiali giudiziari in Europa. Lo scorso anno ha pubblicato anche un libro dal titolo “Sfrattati”. Marotta ha spiegato che “I custodi sono dei privati. Fino a oggi prima di poter vendere l’immobile pignorato i custodi devono aspettare un nostro via libera. Noi siamo soggetti terzi, dipendenti dello Stato, i custodi giudiziari sono avvocati, notai, professionisti delle aste, il cui solo interesse è vendere il prima possibile per incassare la parcella. Dunque siamo di fronte a un gigantesco conflitto di interessi”. L’ufficiale, come rappresentante dello Stato, è garante anche di diritti, dei minori, degli anziani, degli ammalati. Il custode non ha compiti di tutela. Marotta ha accusato: “Mi sembra un favore fatto alle banche e proprio in un momento di crisi economica che ha acuito i problemi delle famiglie”.

Marotta ha spiegato: “Gli ufficiali giudiziari ne tengono conto. Entrano in casa per notificare il provvedimento del giudice, ma poi ascoltano anche i problemi”. Togliendo di mezzo gli ufficiali giudiziari il rischio è anche vedere snaturata la legge nazionale che affida agli enti locali la tutela dei soggetti più deboli. Marotta ha sottolineato che a scrivere il decreto  non è stata la Commissione giustizia del Senato, ma Finanze. Lo scopo del decreto, infatti, è  velocizzare le procedure di sfratto. Marotta ha detto: “Noi ufficiali giudiziari siamo accusati da tempo di metterci troppo tempo a sfrattare la gente”. E su 69mila sfratti l’anno, c’è un arretrato che supera le 250mila unità.

Spinelli: “Non ci sono più i sistemi per gestire l’emergenza”

Nel Comune di Milano è stato firmato un Protocollo d’intesa tra il Comune, la Prefettura, il Tribunale, l’Ordine degli Avvocati, associazioni degli inquilini e assistenti sociali a sostegno dei morosi incolpevoli che, insieme, cercano di risolvere le situazioni più drammatiche. L’accordo consente di anticipare l’erogazione dei contributi previsti per le famiglie che ne hanno diritto sin dal momento in cui l’inquilino riceve dal proprietario la comunicazione dell’avvio della procedura di sfratto. Una volta attestata la condizione di morosità incolpevole, il Giudice, prima di rendere esecutivo lo sfratto, potrà concedere un termine per consentire alle parti di accordarsi per ripianare le morosità grazie all’utilizzo dei fondi pubblici. Il segretario del sindacato degli inquilini, Sicet, Leo Spinelli, ha denunciato che “Non ci sono più i sistemi per gestire l’emergenza come in passato. L’agenzia per le locazioni non funziona, non ci sono tutele concrete per gli sfrattati. Fino a qualche anno fa nessuno veniva messo sulla strada senza avere un’alternativa, o l’albergo o l’assegnazione in emergenza. Adesso si punta sull’ospitalità solidale che non è sufficiente. E anche il bando di concorso non viene più fatto”. “Ci sono circa 10 mila appartamenti pubblici sfitti. Il Comune si vanta di aver aumentato gli sgomberi e di averne recuperati 400. Ma quanti sono stati riassegnati? Zero. E per quante famiglie morose incolpevoli è stata trovata una soluzione in questi anni? Solo per 4. Numeri che dimostrano che la politica abitativa non è stata efficace”.

In totale assenza di politiche sociali e abitative, a Sesto San Giovanni, nel milanese, il 28 marzo 2014 è stata realizzata l’esperienza “Residence sociale Aldo dice 26×1”. Si tratta di una struttura sociale autogestita che dà una risposta immediata all’emergenza abitativa offrendo un tetto a molta gente  che ci vive, dopo aver subito uno sfratto. L’obiettivo futuro quello di costruire, sulla base dei risultati ottenuti, una legge  di iniziativa popolare che proponga un nuovo modello di intervento sugli stabili occupati nelle città per ripensarne l’utilizzo. Finora qualsiasi atto di occupazione è assolutamente vietato dalla legge italiana. Il diritto alla casa, però, è un tema che non può essere ignorato.

Una campagna di riappropriazione del popolo di stabili pubblici e privati

Cronacapolitica ha voluto guardare il problema da vicino. E ha trascorso una giornata con Mirco Sangalli, uno degli abitanti del residence sociale che si è definito “un senzatetto”, “non un barbone”. Mirco ha raccontato: “Aldo dice 26 x 1  è il motto che nel ’45 ha scatenato la liberazione dal nazifascismo in Italia ed è quello che un collettivo di associazioni, comitati e sindacati (Clochard alla riscossa, Comitato Diritto alla Casa e Unione Inquilini di Milano)  hanno scelto di rilanciare per la loro campagna di riappropriazione e messa a disposizione del popolo di stabili pubblici e privati, tenuti nello stato di abbandono e prede di vandali e ladri che distruggono ogni cosa e rivendono il loro bottino al mercato nero alimentando la malavita. Dal 29 marzo scorso il gruppo abita stabilmente all’interno di un edificio fino a 5 anni fa di proprietà di Alitalia, in via XXIV Maggio, 6”. Le vicende di Alitalia le conosciamo tutti. Dopo il fallimento della compagnia aerea di bandiera italiana, il governo Berlusconi lasciò la parte sana dell’azienda ad investitori che vennero spacciati per eroi del risanamento. I crediti vantati da ben 28.000 aziende creditrici, invece, vennero caricati sulle spalle dei contribuenti. L’ex palazzo Alitalia, che al momento dell’abbandono constava di 6.000 mq di uffici perfettamente funzionanti, con un enorme archivio contabile, è rimasto invenduto per 5 anni, a causa della sopravvalutazione del prezzo, alla mercè dei ladri di rame che ne hanno parzialmente distrutto l’impianto elettrico.

Negli ultimi anni gli sfratti sono cresciuti del 70%

Mirco Sangalli.

Il 28 marzo 2014 il palazzo è stato liberato per sviluppare il progetto legato al residence sociale con l’obiettivo di restituire alla collettività un edificio in disuso e far nascere un nuovo punto aperto dal basso per l’emergenza abitativa. A Sesto esiste un patrimonio pubblico di 900 alloggi di proprietà del Comune e di 1.500 dell’Aler. Il segretario dell’unione inquilini, Marco De Guio, ha spiegato che “Fino a un paio d’anni fa, era prassi un passaggio “da casa in casa”: chi veniva sfrattato passava dall’abitazione privata a quella pubblica in assegnazione. La situazione era meno drammatica che altrove, ma negli ultimi anni gli sfratti sono cresciuti del 70%. Abbiamo più volte chiesto un “piano casa”, ma senza ricevere una risposta”. Nonostante lo preveda la legge, oggi, ad una famiglia sfrattata per morosità incolpevole lo Stato non riesce più ad offrire un alloggio popolare. Le famiglie o vengono divise, madri e minori in comunità e padri in strada, oppure vengono sbattute in strada insieme, nel silenzio generale. Rispondere a questa emergenza è un dovere. Mirco ha raccontato ancora: “Questa comunità sociale sta sperimentando un nuovo modo di fare sociale, facendo ciò che lo Stato dovrebbe fare ma non fa.  Destinare gli spazi del palazzo all’accoglienza permette di offrire una sistemazione dignitosa e protetta a questi soggetti nel periodo necessario all’ottenimento dell’alloggio popolare: una sfida alle comunità di accoglienza e ai dormitori. Tutti gli ospiti hanno un posto in graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare, ma ancora, dopo lo sfratto, non l’hanno ottenuta”.

Una legge di iniziativa popolare sugli spazi abbandonati

Prima di occupare il palazzo Alitalia, il gruppo Aldo dice 26×1 aveva occupato il palazzo dell’ex Impregilo, in Viale Monza, sempre a Sesto San Giovanni.  La mattina dell’11 marzo l’occupazione è stata interrotta ed è stato attuato lo sgombero. Gli stessi gruppi si sono spostati e hanno occupato l’ex sede dell’Alitalia (che si trova a pochi passi dal palazzo dell’ex Impregilo).

Mirco ha concluso: “Il gruppo “Aldo dice 26×1″ cerca sostenitori  del progetto che,  se ritenuto sostenibile, potrebbe dare atto ad una legge di iniziativa popolare sugli spazi abbandonati dove accogliere cittadini, individui, italiani o stranieri, famiglie in emergenza abitativa e quanti  hanno bisogno di una casa prima di ogni altra cosa, prima di finire su un marciapiede”.

Oggi Milano (ma la situazione è più o meno identica in tutta Italia) dal punto di vista abitativo non ha mai avuto una situazione così drammatica. Migliaia di persone non hanno una casa. Sono cittadini relegati nelle statistiche del disagio sociale che vengono denunciate da tutti i candidati sindaco solo durante la campagna elettorale. Unico vanto del  comune, dopo cinque anni di “rivoluzione arancione”, senza avere riassegnato nemmeno uno dei circa 10 mila appartamenti pubblici vuoti, è averne sgomberati circa 400 occupati. Nel frattempo, in attesa che un nuovo sindaco mantenga le promesse fatte in campagna elettorale,  le persone devono arrangiarsi a procurarsi un tetto sulla testa.

 

A cura di Roberta d’Eramo

 

 

 

 

Lascia una risposta