Nonostante settimane di trattative, visite ai Paesi della rotta Balcanica,
“Una decisione comune ai 28 Paesi dell’Unione europea”
vertici a livello europeo e dopo le prime chiusure delle frontiere, per i migranti si è chiusa definitivamente la cosiddetta rotta balcanica.
In Italia, presa dalla questione delle primarie e dalla drammatica conclusione del rapimento in Libia dei nostri quattro connazionali, questa notizia è passata in sordina. Ma poco distante da noi migliaia di migranti si trovano alle prese con la chiusura dei confini e per giunta al freddo, alla pioggia e a fare i conti con la fame. L’ultima nuova tragedia è recentissima. Cinque persone, tra cui un neonato di 3 mesi, sono annegate, la scorsa notte, nel mar Egeo mentre cercavano di raggiungere, dalla Turchia, le coste dell’isola greca di Lesbo. A bordo c’erano persone di nazionalità afghana e iraniana.
Oggi il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, infatti, sul suo profilo Twitter, ha scritto: “I flussi irregolari di migranti lungo i Balcani occidentali sono finiti, non si tratta di azioni unilaterali, ma di una decisione comune ai 28 Paesi dell’Unione europea”. E in un altro post ha scritto: “Ringrazio i Paesi dei Balcani occidentali per aver applicato parte della strategia globale dell’Ue per far fronte alla crisi migratoria”.
La tragedia dei migranti è ancora al centro del dibattito in corso tra i paesi dell’Unione europea (inclusi quelli della rotta Balcanica) e la Turchia dopo il recente vertice di Bruxelles. Al termine del vertice, dopo 12 ore di incontri e riunioni, i capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno deciso per un accordo di principio (così lo ha definito la cancelliera tedesca, Angela Merkel). Nel frattempo l’intento è di continuare a negoziare, nei prossimi giorni, fino al Consiglio europeo del 17 e 18 marzo, sulle proposte del premier turco Ahmet Davutoglu per arrivare ad un accordo definitivo sulla gestione comune dell’emergenza profughi. L’obiettivo dell’Ue è quello di tornare a un completo funzionamento dello spazio Schengen di libera circolazione entro la fine dell’anno. L’atteggiamento di chiusura di Ungheria, Austria, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia, infatti, è rimasto tale. Il ministro dell’Interno austriaco Johanna Mikl-Leitner, ha dichiarato: “L’Austria mantiene la sua politica, non farà passi indietro rispetto alla posizione che la rotta balcanica resta chiusa. I flussi incontrollati di migranti che si muovono nei Balcani deve diventare una cosa del passato”. Secondo il ministro “Il problema più grosso è che i profughi hanno ancora speranze e aspettative, che vengono continuamente alimentate. La cosa più onesta da fare, è dire loro che ormai è impossibile passare dai Balcani perché la rotta è chiusa”.
La Slovenia è stata il primo Paese dell’Ue ad applicare l’intesa raggiunta lunedì notte a Bruxelles con la Turchia, provocando un effetto domino negli Stati a sud. Come annunciato dalla Lubiana, tutti i confini del paese sono stati chiusi ai migranti. Possono attraversare il confine solo persone con passaporti regolari. La misura è stata immediatamente imitata da Croazia, Serbia e Macedonia, lasciando bloccati in Grecia 40mila profughi. Ora in territorio greco, a Idomeni, al confine con la Macedonia, sono in attesa più di 13mila persone in una situazione di grave disagio aggravata da pioggia e fango.
La posizione di Austria, Ungheria e dei paesi balcanici è stata fortemente criticata dal premier greco Alexis Tsipras, che replicando al tweet di Donald Tusk, ha affermato: “La rotta dei Balcani occidentali” è stata chiusa “a causa di azioni unilaterali di alcuni Paesi. L’Ue non ha futuro se va avanti così”. Tsipras ha aggiunto: “Ci aspettiamo che Donald Tusk presidente dell’Ue a 28 si focalizzi sugli sforzi di attuare le nostre decisioni comuni e non incoraggi quelli che le ignorano”.
Nella preoccupazione che numeri consistenti di migranti, ora possano muoversi sulla cosiddetta “rotta artica”, attraverso la Russia, persino Estonia, Lettonia e Lituania stanno pensando di chiudere i confini con una barriera.
L’Europa, dunque, ha mostrato tutta la sua incapacità di gestire il fenomeno migranti. Incapacità politica, data dalla mancanza di solidarietà e di visione comune, ma anche incapacità tecnico amministrativa. Prima, infatti, è stata incapace di far rispettare il piano di redistribuzione delle quote obbligatorie, poi incapace di mantenere la promessa al governo Tsipras di tenere aperta la frontiera della Macedonia, raccogliendo così nel territorio greco i migranti in attesa di ricollocazione. A questo punto l’Ue si è trovata senza alternative e l’accordo con la Turchia è divenuto l’unica soluzione. Così dopo un’intera giornata di dibattito inconcludente all’ultimo Consiglio europeo, gli altri leader sono stati messi di fronte all’accordo raggiunto da Germania e Turchia, la notte precedente, con il silenzio assenso del presidente del parlamento europeo Martin Schultz, messo per iscritto dal presidente di turno dell’Unione Europea Mark Rutte e dal presidente del consiglio Donald Tusk. Il contenuto di questo accordo con la Turchia, che i 28 si sono trovati davanti è molto diverso da ciò che ci si aspettava alla vigilia del vertice. Tanto è vero che le perplessità destate (dettate dalla constatazione di violazioni dei diritti umani e da pressanti restrizioni della libertà di stampa in Turchia) hanno imposto un nuovo vertice, a metà marzo. L’accordo di principio con cui i 28 si sono salutati prevede che la Turchia raccolga i profughi siriani ai quali non sarà più consentito imbarcarsi nel mare Egeo per raggiungere la Grecia. Quelli che passeranno il mare verranno riaccompagnati con la forza in Turchia. Varrà però il principio 1 siriano contro 1 siriano. Cioè la Turchia ne riprende uno se l’Europa ne prende in cambio un altro che già si trova sul suo territorio. In definitiva la Turchia sarà il paese nel quale si raccoglieranno i profughi mentre vengono esaminate le loro domande di asilo e quelli che lo otterranno saranno comunque accolti in Europa. In cambio la Turchia otterrebbe non più 3 ma 6 miliardi di euro di finanziamenti, una accelerazione (già da giugno) per la concessione di visti per l’area Schengen e una seria ripresa dei negoziati per l’ingresso nell’Unione europea.
La Turchia quindi diventa il paese in grado di alleviare la pressione dei migranti illegali che cercano di arrivare via mare e il garante di flussi legali di immigrazione verso l’Europa. Questo implica che il sistema delle quote andrà comunque implementato e, anche i paesi che ora si rifiutano, verranno per forza di cose “persuasi”. Bisogna però considerare che la Turchia, paese che non fa parte dell’Unione, non è un paese neutrale nella guerra che si combatte in Siria e i suoi alleati, non sono tutti accettabili in occidente, teme lo stabilirsi di una regione autonoma curda nel nord della Siria, difesa da milizie forti e armate da americani e russi e auspica la costituzione di una zona di cuscinetto per i profughi in territorio siriano. Che in questo momento in Siria non ci siano combattimenti e i convogli umanitari abbiano iniziato a distribuire rifornimenti alle comunità assediate è soltanto una condizione necessaria per poter dare inizio alle trattative. Il presidente Turco Recep Tayyip Erdogan sa che l’Europa si trova in una posizione di debolezza in questa trattativa e per questo ha alzato la posta.
L’Alto Commissario per i diritti umani Zeid Ra’ad al Hussein ha duramente criticato la bozza di accordo tra Unione europea e Turchia sui migranti definendo “illegali” le possibili espulsioni di massa dalla Grecia verso la Turchia. E ha dichiarato: “La bozza di accordo fa emergere gravi preoccupazioni, (tra cui) la possibilità di espulsioni arbitrarie e collettive, che sono illegali”.
Anche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), Filippo Grandi, si è definito “profondamente preoccupato” per il progetto di accordo Ue-Turchia. E all’indomani dell’intesa di massima raggiunta tra Europa e Ankara, ha dichiarato al Parlamento europeo: “Come prima reazione sono profondamente preoccupato da qualsiasi accordo che possa implicare un respingimento a tappeto da un Paese a un altro senza le protezioni di salvaguardia previste dalla legge internazionale”.
Ora, chiusa la rotta balcanica, se ne apriranno altre e i flussi migratori proseguiranno su altre traiettorie, molto probabilmente anche verso l’Italia. Lo ha fatto presente il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano che, ospite della trasmissione televisiva “Otto e mezzo” su La7 ha detto “Probabile che in Puglia ci sia un grande arrivo di migranti,150 mila persone rischiano di arrivare insieme questa estate. Siamo in attesa di ricevere indicazioni dal Governo”.
Ma c’è anche chi la pensa diversamente come il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha spiegato: “Siamo abituati a fare le previsioni ma anche ad osservare la realtà, la logica ci suggerisce che con la chiusura della rotta balcanica si potrebbe aprire una rotta. Questo però ce lo fa dire la logica, ma oggi non i fatti”. Dunque, per il momento, possiamo ancora girarci dall’altra parte o chiudere gli occhi e fare finta che tutto sia stato sistemato. Non c’è più nessuna emergenza.