Vertice con l’Egitto. Nulla di fatto. Gentiloni richiama l’ambasciatore

Vertice con l’Egitto. Nulla di fatto. Gentiloni richiama l’ambasciatore

Il team investigativo egiziano.

Dalla Scuola superiore di polizia di Roma hanno fatto sapere che la collaborazione tra le autorità giudiziarie italiana ed egiziana può considerarsi di fatto interrotta. La due giorni di confronto tra i due team investigativi  sul caso Regeni, infatti, si è concluso con un nulla di fatto.  Il procuratore Giuseppe Pignatone, il suo sostituto Sergio Colaiocco, gli investigatori di Ros e Sco si sono seduti di fronte ai due magistrati e quattro dirigenti di Polizia e Servizi egiziani per cercare di scoprire qualcosa che consentisse un passo in avanti verso la verità.

Ma il team egiziano non è riuscito a dare una spiegazione plausibile alla grottesca vicenda del ritrovamento dei documenti di Giulio Regeni,  dopo due mesi, a casa della sorella del presunto capo di una banda di sequestratori implicata nella scomparsa di Regeni, che non può più difendersi dalle accuse poichè tutti i componenti sono morti in uno scontro a fuoco con le forze di polizia. Su questo punto la rottura è stata totale e le due riunioni, di ieri e di oggi, si sono rivelate completamente inutili.

Un dossier di 30 pagine

Le autorità italiane avevano portato all’incontro una mezza dozzina di traduttori, in modo da potersi mettere immediatamente al lavoro sugli atti originali in arabo, ma quando si sono trovati davanti al dossier egiziano di 30 pagine  (annunciato “esaustivo” dall’Egitto, che aveva parlato anche di duemila pagine di atti) sono rimasti sconcertati e hanno chiuso la pratica in un paio d’ore. Dunque un dossier “di pochissime pagine” che, in parte, erano già note o erano già state consegnate all’Italia. La Procura, infatti,  non ha giudicato sufficienti gli elementi prodotti non avendo ottenuto quanto richiesto agli omologhi egiziani.

In una lunga nota il procuratore Giuseppe Pignatone ha elencato una dopo l’altra le richieste rimaste inevase dal Cairo, parlando di “irritazione e grossa delusione” sul fronte italiano.  Le autorità giudiziarie italiane non hanno ottenuto nessuna registrazione delle telecamere di sorveglianza della zona di Dokki, dove Giulio viveva ed  è sparito, che differentemente da quelle dei negozi della zona non sono state cancellate ma  non vengono neanche mostrate. Non i tabulati della decina di persone vicine al ricercatore indicate dagli investigatori italiani, non il verbale completo dell’autopsia. Sul tavolo gli egiziani non hanno neanche messo i verbali delle testimonianze chieste, a partire da quella dell’autista che ha ritrovato il corpo fino a quelle di una decina di persone tra cui sindacalisti, ambulanti, vicini e coinquilini di Regeni. Soprattutto, non hanno portato a Roma l’elemento ritenuto fondamentale dalla procura: i tabulati di tutti i telefoni che agganciano la cella di Dokki il 25 gennaio e la cella che copre la superstrada Cairo-Alessandria il 3 febbraio.  Tutti elementi ritenuti indispensabili. In un comunicato si legge: “Sono stati consegnati alle autorità italiane i tabulati telefonici delle utenze egiziane in uso a due amici italiani di Giulio Regeni presenti a Il Cairo nel Gennaio scorso, la relazione di sopralluogo, con allegate foto del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, una nota ove si riferisce che gli organizzatori della riunione sindacale tenuta a Il Cairo l’11 dicembre 2015, cui ha partecipato Giulio Regeni, hanno comunicato che non sono state effettuate registrazioni video ufficiali dell’incontro”.

La delusione italiana di fronte ai documenti egiziani

Di fatto poco o niente di quanto chiesto dai magistrati italiani è arrivato a Roma. Veramente troppo poco, secondo l’Italia, per fare un minimo di chiarezza in questa vicenda sin da subito caratterizzata da depistaggi, menzogne e ricostruzioni fasulle. Già giovedì l’Italia aveva fatto trapelare tutta la sua delusione di fronte ai primi documenti portati dalla delegazione egiziana, ma prima di chiudere ogni tipo di dialogo si è voluto attendere la seconda giornata, con la speranza che l’Egitto cambiasse atteggiamento. I magistrati della Procura generale egiziana “hanno riferito le circostanze attraverso le quali sono stati rinvenuti i documenti di Regeni e che solo al termine delle indagini sarà possibile stabilire il ruolo che la banda criminale, coinvolta nei fatti del 24 marzo 2016, abbia avuto nella morte del ragazzo”. Un tentativo di spingere nuovamente le indagini verso la pista della criminalità comune, immediatamente stoppato dalla procura che ha risposto: “la Procura di Roma ha ribadito il convincimento che non vi sono elementi del coinvolgimento diretto della banda criminale nelle torture e nella morte di Giulio Regeni”.

Di ieri si sa poco. Gli italiani hanno illustrato i risultati dell’autopsia e l’analisi del computer di Giulio Regeni, preannunciando “nuove richieste di atti ed informazioni alle autorità italiane”. La delegazione egiziana ha solo aggiornato i titolari dell’inchiesta romana dell’attività svolta successivamente al 14 marzo, giorno in cui il procuratore Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco si recarono al Cairo per un primo confronto.  Non hanno alcuna rilevanza investigativa le immagini vuote di alcune delle telecamere di sorveglianza del tratto di strada tra l’abitazione di Giulio e la metropolitana di Dokki. Sono neutre le fotografie del ritrovamento del corpo del ragazzo lungo la strada Cairo-Alessandria così come i verbali di sopralluogo dell’appartamento in cui Regeni abitava. La riunione di oggi doveva servire a impostare le prossime attività di indagine, per questo si è mantenuto il massimo riserbo sui materiali ricevuti, per non compromettere l’atmosfera già tesa tra i due Paesi dopo le dichiarazioni del Governo italiano che a più riprese aveva sottolineato come la due giorni di Roma fosse una sorta di ultima chance per l’Egitto di dare prova di un cambio di passo nelle indagini. In caso contrario “ci saranno contromisure” aveva avvertito due giorni fa il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

Il cambio di passo non c’è stato e il pool spedito in Italia da Al Sisi ha spudoratamente rilanciato i sospetti sulla famosa banda criminale che avrebbe rapito il ricercatore friulano e che è stata sterminata a colpi di mitra tempo addietro, in modo che nessun malvivente potesse fornire una versione dell’eventuale sequestro. L’ipotesi è la più scalcinata fra quelle offerte dal Capo della polizia criminale di Giza, quel Khaled Shalaby, che un anonimo interlocutore del quotidiano La Rapubblica, che per giorni ha inviato delle email trilingue (un mix di inglese, arabo e italiano), considera il mandante del sequestro e delle torture inflitte a Giulio. Il misterioso mittente, svelato poi in tal Afifi ex poliziotto egiziano riparato negli Usa, coinvolge alti esponenti del governo: il responsabile della Sicurezza nazionale Sharawy, il consigliere del presidente Al-Din, lo stesso Al Sisi tutti messi al corrente della morte di Regeni quando la tortura aveva tragicamente prodotto i suoi effetti letali. Costoro avrebbero deciso di far ritrovare il cadavere lungo la superstrada fra il Cairo e Alessandria.

Una lunga serie di ipotesi di morte

Da quel momento è iniziata, da parte egiziana, la lunga serie di ipotesi di morte: incidente stradale, omicidio per rapina, per ragioni sessuali, per droga. Il caso Regeni ribadisce quanto tanti attivisti egiziani hanno conosciuto sulla propria pelle e a danno della vita. Perché l’omicidio Regeni, come i cento e cento compiuti dagli uomini della sicurezza o da gruppi paramilitari, è conforme alla linea del terrore che Al Sisi ha concordato coi vertici dell’esercito che lo sostengono. 

Nel  comunicato di piazzale Clodio si legge che le delegazioni italiana ed egiziana hanno comunque ribadito “la determinazione nell’individuare e assicurare alla giustizia i responsabili di quanto accaduto, chiunque essi siano; è stato confermato che, per questa ragione, nessuna pista investigativa è esclusa” e che “La Procura egiziana ha assicurato che la collaborazione continuerà attraverso lo scambio di atti di indagine fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato alla morte” del 28enne italiano. Pignatone  ha anche scritto che “In relazione alla richiesta del traffico di celle presentata ancora una volta dalla Procura di Roma,  l’autorità giudiziaria egiziana ha comunicato che consegnerà i risultati al termine dei loro accertamenti, che sono ancora in corso”. Ritenendo questo un modo per prendere ancora tempo, la nota di Pignatone  ha aggiunto: “la procura ha insistito perchè la consegna avvenga in tempi brevissimi sottolineando l’importanza di tale accertamento da compiersi con le attrezzatura all’avanguardia disponibili in Italia”. L’analisi di quel traffico è infatti determinante per capire quali telefoni fossero presenti nella zona quando Giulio è sparito. E incrociando quei dati con quelli della zona del ritrovamento e con quelli in possesso della procura grazie all’analisi del pc di Giulio, gli investigatori non escludono di poter individuare la pista giusta per arrivare ai torturatori e agli assassini del ricercatore.

L’Ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari.

 

Il Ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, ha disposto il richiamo a Roma per consultazioni dell’Ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari. La Farnesina ha comunicato che  la decisione fa seguito agli sviluppi delle indagini sul caso Regeni e in particolare alle riunioni svoltesi a Roma ieri e oggi tra i team investigativi italiano ed egiziano. In base a tali sviluppi si rende necessaria una valutazione urgente delle iniziative più opportune per rilanciare l’impegno volto ad accertare la verità sul barbaro omicidio di Regeni. “Il ministero degli Affari esteri” egiziano “finora non è stato informato ufficialmente del richiamo del proprio ambasciatore al Cairo per consultazioni da parte dell’Italia sullo sfondo dell’omicidio di Regeni e delle ragioni di questo richiamo, tanto più che non c’è stato un comunicato sui risultati delle riunioni delle squadre d’inchiesta egiziana e italiana”, aggiungendo che il governo egiziano attende il ritorno della delegazione che si è confrontata negli ultimi due giorni con i magistrati italiani a Roma per sentire da loro cosa è successo prima di decidere se e come rispondere all’iniziativa diplomatica italiana.  Fonti diplomatiche egiziane hanno riferito che sono in corso “contatti al massimo livello per cercare di trovare una soluzione all’escalation” tra i due Paesi “sperando di far cambiare idea al governo italiano” sul richiamo dell’ambasciatore italiano. La stessa fonte ha reso noto che è atteso al Cairo un colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri, Sameh Shoukri, e l’omologo italiano Gentiloni e viene escluso che l’Egitto possa rispondere richiamando a sua volta l’ambasciatore a Roma. Fonti aeroportuali al Cairo hanno riferito che, rientrando al Cairo nella notte, i componenti della delegazione di magistrati e responsabili della sicurezza egiziani che hanno partecipato alle riunioni a Roma sul caso di Giulio Regeni hanno “rifiutato di rilasciare qualsiasi dichiarazione sulla missione”.

Il premier   Renzi ha detto: “L’Italia, come voi sapete ha preso un impegno con la famiglia Regeni, con la memoria di Giulio ma anche con la dignità con ciascuno di noi che ci saremmo fermati solo davanti alla verità. È fondamentale la valutazione degli inquirenti e dei magistrati: la decisione del governo italiano è arrivata dopo l’incontro dei magistrati italiani”.  Su twitter Renzi ha scritto: “Dopo esito incontri magistrati a Roma, Italia ha deciso formalmente di richiamare per consultazioni l’ambasciatore #veritàpergiulioregeni”. Così il premier Matteo Renzi. E su Facebook il premier ha ribadito: “L’Italia si fermerà solo davanti alla verità”.

Boldrini: “L’Italia non può fermarsi”

La presidente della Camera, Laura Boldrini, nel corso dell’ incontro, a Stoccolma, con la Ministra degli Esteri svedese Margot Wallstrom,  richiamando la vicenda dell’omicidio di Giulio Regeni, ha sottolineato che “Di fronte a un fatto così grave l’Italia non può fermarsi se non quando avrà ottenuto la piena verità”.

Giulio Regeni.

I genitori di Giulio Regeni hanno affermato: “Siamo certi che le nostre istituzioni e tutti coloro che stanno combattendo al nostro fianco questa battaglia di giustizia non si fermeranno fino a quando non otterranno verità”. Una settimana fa al Senato, davanti a centinaia di giornalisti, la mamma del ricercatore aveva detto: “Siamo una famiglia ferma, ma se serve diventiamo un carro armato. Per questo, se l’incontro con gli egiziani sarà una giornata vuota confidiamo in una risposta forte del nostro governo. Forte, ma molto forte”. Per ora resta tutta la disperazione di due genitori che continuano a non avere alcuna risposta sul perché qualcuno abbia fatto al loro figlio “tutto il male del mondo” e ai quali il corpo del figlio è stato riconsegnato in condizioni tali che ha potuto riconoscerlo “solo dalla punta del naso”.

I genitori di Giulio Regeni in Senato.

Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a Tokyo per partecipare al G7 degli Esteri di Hiroshima di domani e lunedì, ha detto che il richiamo per consultazioni a Roma dell’ambasciatore italiano in Egitto è la “misura immediata”, avvertendo che sugli altri passi “ci lavoreremo nei prossimi giorni”. Poi, rimandando a quanto detto di recente in parlamento, ha ribadito: “Ricordo sempre gli aggettivi che ho usato e cioè che adotteremo misure immediate e proporzionali: questo ci siamo impegnati a fare e questo faremo”.

 

 

 

 

 

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