Turchia. Record mondiale di giornalisti in prigione

Turchia. Record mondiale di giornalisti in prigione

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu.

Quello del giornalista in Turchia è un mestiere pericoloso.

La libertà di stampa in Turchia è al 148° posto su 169

La Turchia detiene il record mondiale di giornalisti incarcerati e occupa il 148° posto  su 169 nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere. Press for Freedom è un osservatorio finanziato da un programma bilaterale dell’ambasciata britannica per il monitoraggio della libertà di espressione nel paese turco. Un suo rapporto, pubblicato ieri, ha rivelato che in Turchia, dalle elezioni politiche dello scorso giugno, sono stati censurati oltre 100 mila siti web, per l’esattezza 104.904. Secondo lo studio, il web resta uno dei terreni in cui in Turchia la censura si manifesta più duramente. Dallo scorso giugno, per esempio, il sito dell’agenzia pro-curda Diha è stato oscurato 37 volte e 13 dei suoi reporter sono in prigione. Soltanto ad aprile sono stati licenziati almeno 160 giornalisti.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

A conferma delle pressioni sulla stampa,  giunte direttamente dalle autorità o derivanti dal restringimento della pluralità nel panorama editoriale, i dati del rapporto hanno rilevato che solo dall’inizio di quest’anno fino ad aprile 2016 in Turchia è stato licenziato per motivi politici un totale di 894 giornalisti, 33 sono stati fermati, altri 12 sono finiti a processo con l’accusa di insulti al presidente Recep Tayyip Erdogan e sono stati registrati 200 attacchi alla sicurezza dei reporter. Secondo il rapporto, due quotidiani e un’agenzia di stampa sono stati “silenziati” imponendo loro commissioni di controllo, in seguito a “forti indizi” che avessero legami con il movimento di Fethullah Gulen, ex alleato e ora avversario del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Press for Freedom ha messo in evidenza la vicenda “Cumhuriyet”

Can Dundar e Erdem Gul.

Il rapporto ha messo in evidenza la vicenda di Can Dundar e Erdem Gul, redattore capo e capo dell’ufficio di Ankara del quotidiano “Cumhuriyet”, accusati di per aver rivelato “segreti di stato” in un’inchiesta in cui si evidenziavano legami fra servizi di sicurezza turchi e terroristi dello Stato islamico. Can Dundar ha passato più di tre mesi in detenzione preventiva a causa di alcuni articoli che ha scritto ed è stato rilasciato a fine febbraio in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale secondo cui l’arresto violava i principi di libertà di espressione. Durante i primi giorni in carcere, Dundar, in una lettera indirizzata ai leader dei 28 paesi dell’Unione, aveva chiesto a Bruxelles di considerare lo stato della libertà di stampa in Turchia mentre erano in corso i negoziati dell’accordo tra UE e Ankara sulla questione rifugiati. Solo il premier Matteo Renzi, poco prima del vertice, decise di dire alle telecamere che aveva ricevuto questa lettera dal giornalista turco in prigione e che durante il summit con l’allora primo ministro turco Davutoglu ne avrebbe parlato direttamente con lui”.

Se i giudici avessero accolto l’accusa di spionaggio, Dundar e Gul avrebbero rischiato l’ergastolo. Il magistrato oggi ha chiesto 25 anni di prigione per Dundar per aver rivelato segreti di Stato e tentativo di rovesciare il governo e 10 a Gul per averli pubblicati. Il processo contro di loro è appena iniziato. La causa è un’inchiesta che racconta di come, a dicembre 2014, durante l’assedio di Kobane, camion dei servizi segreti turchi furono fermati dall’esercito di Ankara perché si stavano dirigendo verso la Siria con un carico di armi probabilmente destinato ai ribelli siriani.

Nel video di Cumhuriyet i soldati fermano i camion

Dundar ha scritto 52 articoli che documentano l’evento e Gul ha pubblicato i rapporti della gendarmeria turca che rivelano dettagli sulle armi trasportate dai camion. Il fatto era già oggetto di dibattito parlamentare prima della pubblicazione degli articoli, ma la vicenda ha cominciato a dividere l’opinione pubblica e a creare forti reazioni politiche quando i due giornalisti hanno cominciato a scrivere e soprattutto dopo che il sito del quotidiano Cumhuriyet ha diffuso un video in cui si vedono i soldati che fermano i camion per ispezionarli.

Circondati dalla stampa turca e internazionale giunta sul posto in massa, al palazzo di giustizia di Istanbul venerdì 25 marzo per la loro prima udienza, per coprire un processo diventato un evento mediatico, i due giornalisti erano accompagnati da alcuni deputati dei principali partiti di opposizione in Turchia, il socialdemocratico CHP e il filo-curdo HDP, presenti per sostenere la libertà di espressione. Al processo si sono recati anche diplomatici di otto paesi, tra cui il Console italiano a Istanbul, per osservare gli sviluppi del caso, mandando  su tutte le furie il presidente Erdogan. Nei giorni seguenti il ministero degli esteri turco ha inviato una nota agli uffici dei diplomatici presenti. La Farnesina ha per prima reagito alle dichiarazioni di Erdogan con un comunicato in cui è stato sottolineato che “la libertà di espressione è di fondamentale importanza per il dibattito politico nel Paese, verso il quale l’interesse dei diplomatici europei è pienamente giustificato alla luce della posizione di Ankara quale Paese candidato all’Unione Europea”.

Un quadro oscuro delle libertà in Turchia

Nel rapporto di Press for Freedom si legge: “Perseguire giornalisti che fanno il loro lavoro trattandoli come “terroristi” o “spie” traccia un quadro oscuro delle libertà” in Turchia.  Il coordinatore del rapporto,  Yusuf Khanli, che è anche un editorialista di “Hurriyet Daily News”, il sito in inglese del quotidiano omonimo, ha detto che non è possibile parlare di democrazia dove le voci dell’opposizione sono ridotte al silenzio, la censura è comune e le libertà di stampa sono sotto pressione.

Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

A marzo l’altro grande giornale di opposizione più venduto in Turchia, Zaman, del gruppo editoriale turco Feza, è stato commissariato dallo Stato finendo in amministrazione controllata per ordine del tribunale, lo scorso 4 marzo, quando la polizia fece irruzione nella redazione del popolare quotidiano per impedire ai giornalisti di accedere alla sede. Prima del commissariamento il giornale aveva una tiratura media quotidiana di oltre mezzo milione di copie. Una volta tornato nelle edicole, dopo il cambio della linea politica in favore del presidente Erdogan,  aveva subito in soli 2 mesi, un crollo verticale nelle vendite. Oggi ne circolano poco più di 2mila.  Gli amministratori giudiziari avevano annunciato l’interruzione  delle pubblicazioni dal 15 maggio appena trascorso. Oltre a Zaman, già quasi sparito dalle edicole, saranno chiusi gli altri media del gruppo, tra cui l’agenzia di stampa Cihan, l’unica in grado di coprire i risultati elettorali su base nazionale oltre a quella statale Anadolu. La stessa sorte è toccata in passato alle emittenti televisive Kanalturk e BugunTv e ai quotidiani Millet e Bugun del gruppo editoriale Ipek, anch’essi commissariati alla vigilia delle elezioni di novembre, sempre con l’accusa di essere organi di propaganda finanziati da Gulen.

Dalla comunità internazionale forti allarmi sulla libertà di stampa

Recep Tayyip Erdogan.

La guerra portata avanti dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan contro i giornali d’opposizione e i sostenitori politici del magnate e imam Fethullah Gulen, ex alleato ora nemico giurato di Erdogan, dal 1999 in esilio volontario negli Stati Uniti, ha suscitato forti allarmi sulla libertà di stampa in Turchia, attirando le critiche della comunità internazionale, che accusa la Turchia del presidente Erdogan di non rispettare la libertà di stampa. Sono molte, infatti,  le perplessità da parte europea per la situazione dei diritti umani e lo stato della democrazia in Turchia. Soprattutto dopo l’accordo che Bruxelles e Ankara hanno siglato a marzo scorso  per la gestione della crisi migratoria e per bloccare i flussi illegali di migranti illegali attraverso la penisola anatolica. La Turchia si è impegnata a fermare il flusso dei migranti verso la Grecia e ad offrire cooperazione giudiziaria sui crimini che coinvolgono i membri dell’Unione Europea. In cambio del patto fortemente voluto dalla Merkel e dal presidente turco Erdogan, l’Unione Europea  consentirebbe ai cittadini turchi di viaggiare in Europa senza visto a partire dalla fine di giugno 2016. In particolare 75 milioni di cittadini provenienti dalla Turchia, avranno il diritto di entrare nella zona Schengen per un massimo di 90 giorni con il solo passaporto biometrico, senza essere sottoposti a registrazione e raccolta di impronte digitali, una procedura fondamentale per la vigilanza anti terrorismo.

Dundar: “Quello tra Ue e Turchia è davvero un accordo molto sporco”

Can Dundar.

Il giudizio del giornalista turco Dundar sull’accordo UE- Turchia per fermare i migranti,  è estremamente negativo. “Noi democratici turchi abbiamo appoggiato i valori europei qui in Turchia riguardo a democrazia, diritti umani, libertà di stampa e secolarismo. Erdogan è quello che si oppone di più a questi principi. Sotto le pressioni della questione rifugiati l’Europa ha scelto di stare dalla parte di Erdogan invece che dalla nostra. È come se l’Europa dicesse alla Turchia: fa quello che vuoi con il tuo popolo ma non mandare più rifugiati in Europa. È davvero un accordo molto sporco”. Per Dundar “questa liberalizzazione dei visti è una bugia, lo sanno tutti. Né l’Europa né la Turchia sono pronti per una cosa del genere. Con questo accordo l’Europa ha fermato l’arrivo dei rifugiati ma presto ci saranno persone che per scappare dalle pressioni di Erdogan chiederanno asilo politico in UE”.

Da luglio, dunque,  potrebbe essere più facile per i cittadini di Turchia, ma anche per quelli di Ucraina, Kosovo e Georgia, entrare nell’area Schengen. La Commissione europea ha avviato l’iter per l’abolizione dei visti richiesti ai cittadini di questi paesi per il loro ingresso nei 26 stati aderenti all’accordo (22 membri dell’Ue, più Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein). Restano esclusi sei paesi dell’Ue: Regno Unito, Irlanda, Cipro, Croazia, Bulgaria e Romania. La Commissione europea ha raccomandato la liberalizzazione dei visti nonostante la Turchia non abbia ancora ottemperato all’adempimento di tutti i 72 criteri stabiliti dall’Unione europea per il completamento del processo.

Cavusoglu: “Non accetteremo mai un’imposizione del genere”

Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni e il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu.

Oggi il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, a proposito della richiesta dell’Ue, nell’ambito dei criteri che Ankara deve ancora soddisfare per poter ottenere la liberalizzazione dei visti Schengen per i suoi cittadini, ha detto: “Dirci di cambiare la nostra legge anti-terrorismo in un momento in cui stiamo combattendo contro il Pkk e Daesh (l’Isis) equivale a sostenere il terrorismo. Non accetteremo mai un’imposizione del genere”.

Molti appartenenti alla Commissione Europea, su quello che appare più un ricatto che un accordo,  avrebbero espresso forte preoccupazione per una manovra che esporrebbe i Paesi ad un elevato rischio di attacco terroristico.

Dopo l’ok della Commissione, dovranno pronunciarsi anche il Parlamento europeo e i governi nazionali. Francia e Germania hanno proposto l’introduzione di un “freno d’emergenza” che prevede la sospensione della liberalizzazione dei visti nel caso in cui un numero consistente di turchi risieda illegalmente nel territorio della Ue o vi sia un eccessivo numero di richieste d’asilo da parte dei turchi.

 

A cura di Roberta d’Eramo

 

 

 

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