Il Pd fatica. Ma per Renzi vincere è essenziale

Il Pd fatica. Ma per Renzi vincere è essenziale

Il premier Matteo Renzi.

Che i veri conti si faranno solo dopo i ballottaggi è vero.

Dopo l’esito del voto sale il malcontento

Ma è anche vero che qua e là il malcontento è salito e alcuni hanno già fatto scattare l’allarme. A sinistra del Pd le critiche al partito si erano alzate da tempo, anche prima delle elezioni, e non stupisce che un esponente della minoranza come Gianni Cuperlo continui a battere sugli stessi tasti cercando ancora di sensibilizzare il premier e scrivendo su facebook:  “Per settimane si è detto che il voto era amministrativo e non riguardava il governo. Penso che le urne abbiano detto una cosa diversa. Il risultato deludente e in molti casi largamente sotto le attese di candidati e liste Pd non è frutto di un giudizio sulle capacità amministrative di figure spesso apprezzate. Nel voto si è espresso un distacco preoccupante tra una parte ampia degli elettori della sinistra e il principale partito che vorrebbe e dovrebbe rappresentarli”.

Quella del Pd è una “strategia suicida”

Gianni Cuperlo.

Non stupisce neanche quando a denunciare “la strategia suicida” del Pd, il suo “mancato rinnovamento” (”né ricambio di classe dirigente, né pulizia”) e la sua ultima vocazione ad obbedire solo al ”verbo renziano”, siano personaggi come l’ex sindaco Ignazio Marino, con cui il Pd ha voluto rompere di netto e che, anche lui su facebook, abbia scritto: ”Il risultato del primo turno a Roma propone con forza il problema di un Partito Democratico che ha rotto il proprio rapporto con la città. Dati alla mano, il calo del consenso verso il Partito Democratico romano è drammatico e sarebbe un grave errore sottovalutarlo o fingere di ignorarne le cause”. “Un partito che dopo gli arresti di Mafia Capitale ha perso l’occasione di rinnovarsi e che si è anzi chiuso in un disperato tentativo di auto-conservare il proprio potere, in ossequio non ai cittadini-elettori, ma solo al verbo renziano”.

E’ stato soffocato qualsiasi dibattito interno

L’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino.

“I poteri assoluti a Orfini sono diventati uno strumento per soffocare qualsiasi dibattito interno e sono stati utilizzati per eliminare con una manovra, antidemocratica nei fatti, il sindaco eletto da 670.000 romani appena due anni prima”. ”Tutto questo è stato sonoramente e inevitabilmente bocciato dagli elettori. Nel 2013, al primo turno la coalizione di centrosinistra ottenne il 42.6% dei voti, pari a 512.720 elettori. Oggi Giachetti, con la sua intera coalizione, ottiene il 24,85%, pari ad appena 319.305 elettori. Se consideriamo solo gli elettori del Partito Democratico nel 2013 furono 267.605 mentre oggi sono poco più di 200.000, con un calo di circa 70.000 votanti. In percentuale, a Roma, il Partito Democratico è passato dal 26,26% del 2013 a circa il 17% di oggi”.  Per poi concludere: “Servono persone nuove nel Partito Democratico, meno supponenti e più rispettose dei sentimenti e dei giudizi degli elettori. Perché gli elettori capiscono che se non si cambia davvero il Pd, il Pd non sarà mai in grado di cambiare Roma”.

Napoli contro il sistema politico oppressivo, mafioso e liberista

Il sindaco di Napoli uscente, Luigi de Magistris.

E’ scontato anche che un sindaco uscente di Napoli, battagliero come Luigi de Magistris, commentando l’esito del voto amministrativo a Napoli abbia affermato: “Non si era mai visto un sindaco uscente senza soldi, che ha avuto contro tutti i poteri forti, il governo, la camorra, tutti i partiti politici, arrivare primo al ballottaggio distanziando di 18 punti il secondo arrivato”. E abbia incalzato, preannunciando una presa di posizione, ma anche una totale apertura a qualunque contributo per la causa della sua città: “Voglio fare di Napoli un soggetto politico di liberazione contro il sistema politico oppressivo, mafioso e liberista. Ma di questo movimento parlerò dal 20 giugno. Ora, e fino al 19 giugno, dobbiamo pensare a convincere gli astenuti, e a parlare agli elettori del Pd e di M5s”.

Di Maio: “Quando le cose non vanno bene è da fessi non prenderne atto”

Il vicepresidente della Camera e membro del direttorio del M5s, Luigi Di Maio.

Ed è normale che dal nemico a 5 Stelle, come nel caso del vicepresidente della Camera e membro del direttorio del M5s, Luigi Di Maio, a proposito del Pd, arrivi un messaggio di questo genere: “Quando le cose non vanno bene per un partito è da fessi non prenderne atto. Per loro queste Amministrative dovrebbero suonare come un campanello d’allarme, come è stato evidenziato anche a livello internazionale”, “il vero populista è stato Renzi che ha sparato slogan senza poi dare seguito a un fatto e i cittadini se ne sono accorti”.

O che il messaggio arrivi dal centrodestra, come il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che ha detto: “A me pare abbastanza chiaro il segnale che arriva dai cittadini: le accozzaglie non funzionano, non funziona un centrodestra che fa di tutto per aiutare il centrosinistra perché nessuno mi toglie dalla testa che Giachetti arriva al ballottaggio grazie a Forza Italia, quindi con un “aiutino” è facile dire “Giachetti ha fatto il miracolo”, così siamo capaci tutti”.

Giachetti: “La città è arrabbiata e lo ha manifestato”

Il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.

Stupisce un pò di più quando è lo stesso candidato sindaco, sostenuto  dal segretario del partito e premier, a riconoscere che “In vista del ballottaggio con Virginia Raggi, “ora dobbiamo parlare con la gente sapendo che la città è arrabbiata e lo ha manifestato”.

E ancora di più quando ad ammettere gli errori sono uomini vicini al premier o meglio definibili “renziani”, quando fanno notare che Roma sembra ora una “impresa disperata” e Milano “è una partita aperta, apertissima”. Poco importa, infatti,  che il presidente del Consiglio provi a smorzare l’immagine negativa del Pd che viene fuori da questa tornata elettorale con i numeri (“Su 1.300 Comuni al voto, quasi 1.000 avranno un sindaco Pd o di area Pd”), perchè il dato politico va oltre i numeri. Fassino stavolta non si è nemmeno avvicinato al 50%, Merola è addirittura rimasto sotto il 40% e il margine di Sala su Parisi è stato appena dello 0,8% (al contrario dei 4-5 punti stimati). A Roma poi i sondaggi del Pd che attribuivano a Virginia Raggi il limite massimo raggiungibile del30%, sono stati nettamente superati nella realtà. E si sottolinea: “Se perdiamo Milano sono cavoli” perché il fronte anti-Renzi attaccherebbe in vista del referendum dove “Si definiranno gli assetti in vista delle elezioni politiche”. Certo il timore che l’odio per Renzi accomuni elettori del M5s e di centrodestra, facendo convergerei voti su Virginia Raggi, c’è. In ogni caso, prima di affondare, è meglio aspettare ancora un pò, in attesa di avere la conferma del voto ai ballottaggi.

 

A cura di Roberta d’Eramo

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